giovedì 10 dicembre 2009

La giustizia (84-86)


Sul versante giustizia fu sempre il “Caso Catania” a tenere banco. Il CSM aveva archiviato, con 15 voti contro 15, le accuse mosse dall’inchiesta a Di Natale e Grassi.
 Il 27 ottobre dello scorso anno, con una decisione giocata sul filo di lana, 15 voti contro 15, il Consiglio superiore della magistratura disponeva l’archiviazione di tutti gli atti relativi alle presunte irregolarità commesse nell’esercizio delle proprie funzioni da due magistrati catanesi, il procuratore della Repubblica Giulio Cesare Di Natale e il sostituto procuratore Aldo Grassi. […] quel giorno l’organo di controllo della magistratura diede uno schiaffo alla giustizia, quella stessa giustizia che per dovere istituzionale avrebbe dovuto tutelare da ogni attacco e da ogni inquinamento: una parte del consiglio votò, quel giorno, non sulla scorta di una serena valutazione dei fatti, ma in base a precisi ordini di scuderia, e il CSM si spaccò in due: da una parte, decisi a far quadrato attorno ai giudici inquisiti, i magistrati appartenenti a Magistratura Indipendente e i membri laici eletti su designazione della DC, del PSI e del PRI; dall’altra i giudici appartenenti alle due correnti di sinistra, Unità per la costituzione e Magistratura Democratica, e i laici designati dal PCI. 15 contro 15, nemmeno un franco tiratore; un rispetto cieco delle consegne, una dedizione alla propria bandiera non riscontrabile nemmeno nelle aule di Montecitorio. Il “caso Catania”, sulla scorta di quel voto, venne archiviato, la legge La Torre continuò ad essere ignorata in una delle due capitali della mafia”
C.Fava, M.Gambino, Dietro quelle toghe, I Siciliani, Settembre 1984.
In seguito il ministro di Giustizia Mino Martinazzoli inviò a Catania degli ispettori che elaborarono una relazione sull’operato dei magistrati sopraccitati. Successivamente il procuratore Di Natale lasciò anticipatamente la Magistratura, chiedendo subito la pensione, per non incappare in provvedimenti disciplinari. Simile sorte per Aldo Grassi che chiese il trasferimento a Messina, ma che in pochi anni approdò alla prima sezione penale della Cassazione, alla corte di Corrado Carnevale, il giudice “ammazzasentenze” dei processi alla mafia.
Negli articoli de I Siciliani si raccontavano le storie di un altro giudice impegnato alla lotta alla mafia tramite una grande inchiesta sui traffici internazionali: Carlo Palermo. Era stato dedicato spazio alle sue indagini trentine, sul traffico internazionale di armi e droga già nel 1983 [Orioles, Ti do i missili e carri armati, tu mi dai droga droga droga, I Siciliani, Giugno 1983]. Per quella indagine scomoda per il governo di Bettino Craxi, fu trasferito a Trapani, dove si distinse per ulteriori indagini su mafia e droga, e sullo scandalo delle false fatturazioni.
 […] l’inchiesta trentina del giudice Carlo Palermo. Traffici internazionali di droga, di mafie nostrane e turche - ma anche d’armi da guerra, e di servizi segreti. Nomi di boss mafiosi, di noti malavitosi, di criminali; ma pur nomi di «politici», di faccendieri piduisti, di generali. Cosche, Famiglie, logge coperte, P2: un inestricabile insieme. Mafia nel senso tecnico, ma anche ben più di essa; miliardi di stupefacenti, ma anche ben più ampi interessi. E solo di stupefacenti parlavano, nei loro frequenti incontri, il trentino Palermo, il fiorentino (su Firenze lavorava Ciaccio Montalto) Vigna ed il nostro Falcone; o di più complessi commerci? E solo il fronte dei Padrini combatteva, in quella primavera ‘82, il Generale onesto, o più insospettabili potenti? Come che sia, il giudice Carlo Palermo è stato costretto - alla fine di dicembre; coincidenza eloquente di date - ad abbandonare l’inchiesta. Per la prima volta dalla caduta del fascismo, un capo di governo è intervenuto pubblicamente ed esplicitamente contro un magistrato penale nell’esercizio delle sue funzioni; ed è facile prevedere che se alla fine di tutta questa storia - storia da colonnelli, storia da Grecia o Argentina - a Trento ci sarà un imputato, sarà il giudice indiscreto; già relegato nelle pagine interne, già nei trafiletti inosservati. «Questo cervello deve smettere di funzionare». E l’ordine s’esegue, docilmente”.
R.Orioles, Da Trento alla Sicilia, dalla Sicilia a Trento, I Siciliani, Febbraio 1984.
Si meritò così l’attenzione della mafia, che rispose con l’attentato di Pizzolungo, a cui il giudice Palermo scampò, ma in cui persero la vita accidentalmente una donna e i suoi due gemellini. In seguito il giudice accettò una proposta di lavoro dal ministero di Grazia e Giustizia, lasciando Trapani, tra i dubbi sollevati dai colleghi.
 Un giorno qualcuno dovrà riscrivere la storia di questo trasferimento, del modo in cui il giudice Carlo Palermo è stato costretto ad accettare l’offerta del ministero, e di come in un tempo eccezionalmente breve tutto sia stato sistemato in modo da farlo partire». Salvatore Barresi, 34 anni, sostituto procuratore della Repubblica a Trapani, è un uomo minuto, nervoso e amareggiato.
M.Gambino, E tutt’intorno terra bruciata, I Siciliani settimanale, Novembre 1985
Su un altro fronte, il 6 agosto del 1985 venne ucciso a Palermo Ninni Cassarà, capo della Squadra Mobile:
Ninni Cassarà, poco prima di essere ucciso, era stato a più riprese in Svizzera; per collaborare alle indagini della polizia elvetica su alcune ipotesi di riciclaggio di denaro sporco, ma anche per indagare sulle operazioni finanziarie effettuate in quel paese dal più potente degli imprenditori palermitani, Arturo Cassina. Un’inchiesta che andava avanti ormai da quattro mesi e della quale, negli ambienti imprenditoriali di Palermo, si cominciava cautamente a parlare. Se non altro perché nella categoria degli intoccabili palermitani Cassina è sempre stato, fino ad oggi, ai primissimi posti. […] Cassarà ricomincia da capo, individua i casi più delicati, ascolta tutti i pentiti, diventa il più stretto collaboratore del giudice Falcone. In tre anni memorizza migliaia di dati, nomi, fatti, circostanze: un archivio vivente. Un postulato gli premeva soprattutto capovolgere, il concetto di “contiguità”: politici corrotti e mafiosi su piani paralleli ma differenti. Più che di parallelismi, Cassarà preferiva parlare di convergenze, e su questa traccia lavorava da tempo, cercando conferme, prove reali, certezze probatorie; e i primi risultati - Nino e Ignazio Salvo in manette accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso - erano arrivati.
C.Fava, M.Gambino, Stava indagando sui soldi di Cassina, I Siciliani settimanale, Novembre 1985
Nell’agosto del 1986 la Cassazione, tramite il giudice Corrado Carnevale, annulla gli ergastoli inflitti ai fratelli Greco per la strage di via Pipitone Federico a Palermo, quella in cui morirono Rocco Chinnici, il suo autista e il portiere dello stabile dove abitava il magistrato:
Stiamo scrivendo avendo appena appresa la sentenza di Cassazione con la quale si è annullato il giudizio di condanna emesso dalla Corte d’Appello di Caltanissetta nei confronti dei notissimi boss mafiosi Michele e Salvatore Greco. Vorremmo esser prudenti ed amabilmente obiettivi, analizzare serenamente il caso, «attendere la motivazione», come si dice. Ma ci sono troppi morti di mezzo. Questa sentenza dichiara che essi sono morti per niente. «In nome del popolo italiano!». «I mafiosi in galera, finalmente!» avevano pensato i siciliani, dopo molti e molti anni di «insufficienza di prove». I giudici di Caltanissetta, dando l’ergastolo ai Greco - due dei mandanti dell’assassinio mafioso di Chinnici - avevano parlato esplicitamente di «terrorismo politico-mafioso». Perché è stato ammazzato Chinnici? Chinnici non stava indagando sui mafiosi di mezza tacca. Stava indagando sugli omicidi più direttamente politici (vale a dire presumibilmente voluti da politici), quello di Mattarella e quello di Pio La Torre. E stava alacremente lavorando - col suo braccio operativo Ninni Cassarà - all’incriminazione dei più potenti e politicizzati finanzieri di Palermo, i Salvo; e sul groviglio di affari, di miliardi da riciclare e di assassini da cui la classe dirigente palermitana ha tratto le proprie fortune - non solo a Palermo - con l’appoggio, infinite volte dimostrato, dei poteri occulti della P2 e di varie altre massonerie. Nessuno ha ricordato un altro particolare estremamente significativo: dei quattro cavalieri catanesi accusati da dalla Chiesa almeno i due principali avevano qualcosa a che fare con la P2: Graci coinvolto nell’affaire Sindona, Rendo segnato nell’agenda personale (e segreta) di Gelli. Arrestati da Carlo Palermo, i quattro sono stati improvvisamente scarcerati - il tre settembre, anniversario di dalla Chiesa... - dalla stessa sezione della Cassazione che ora ha salvato i Greco. Alcuni hanno sottolineato il fatto che il magistrato presidente della sezione, Carnevale, compaia nelle cronache sulla P2 come difensore di piduisti e come veloce estensore di sentenze soprendentemente favorevoli a un parente di Gelli (Marsili, un magistrato aretino finito sotto inchiesta). Coincidenze, probabilmente. Ma coincidenze su cui ci sarà da indagare.
R.Orioles, A.Roccuzzo, E lo Stato gridò: forza mafia!, I Siciliani settimanale, 19 Giugno 1986
Troveranno spazio negli articoli de I Siciliani anche i risvolti dell’indagine sull’assassinio di Giuseppe Fava. Dopo il passaggio dell’inchiesta nelle mani di Di Natale, il magistrato protagonista del “Caso Catania” e sotto inchiesta dal CSM, forti erano stati i dubbi dei giornalisti sulla conduzione delle indagini. Infatti il procuratore aggiunto non disattese le aspettative, applicando per la prima volta la legge La Torre, con una serie di certosine indagini bancarie sulle vittime della mafia. Dal giornale si venne a sapere che erano stati spulciati tutti i conti della famiglia di Fava, oltre alle fatture e gli assegni della vita economica dei collaboratori de I Siciliani.
Le indagini dopo un anno erano ferme. Gli otto mesi dell’inchiesta gestita da Di Natale erano stati contraddistinti da ritardi ed eccessi di zelo che sembravano agli occhi dei giornalisti dei veri e propri depistaggi. La Criminalpol aveva convocato i colleghi che avevano visto per ultimi Pippo Fava in redazione: sotto l’interrogatorio del maresciallo Pellegrino, il giornalista Miki Gambino, in una parte non verbalizzata, era stato vittima di insinuazioni che avrebbero previsto un suo ruolo nell’omicidio del direttore [I Siciliani, Gennaio 1985]. Il contenuto non verbalizzato, ma appuntato dal giornalista, di quegli interrogatori, venne pubblicato sul mensile e inviato in una nota all’Alto commissario De Francesco.
Nel settembre del 1984 era accaduta un’altra cosa gravissima. Il quotidiano La Sicilia aveva pubblicato un articolo, firmato Enzo Asciolla, il cui titolo era “Un detenuto «pentito» della malavita catanese svelerà i nomi degli uccisori di Giuseppe Fava”; in quel servizio, il cronista spiegava che un pregiudicato catanese, Luciano Grasso, detenuto nel carcere di Belluno, aveva fatto sapere ai magistrati di avere delle rivelazioni da fare sull’assassinio mafioso di Pippo Fava. Una condotta scorretta quella del giornalista, che aveva dato questa notizia addirittura in anticipo rispetto al reale pentimento. avvenuto il giorno dopo, violando così il segreto istruttorio, e scrivendo, come se non bastasse, il nome del carcere che ospitava Grasso, la foto del “pentito” e l’indirizzo dei familiari. Per I Siciliani era stato un chiaro tentativo di intimidire Grasso che, la mattina del suo pentimento, aveva già ricevuto il quotidiano in cella. Eppure la missione del sostituto Torresi, giunto a Belluno per verbalizzare le parole di Grasso, era riservata; solo altri due giudici erano a conoscenza della missione, il procuratore aggiunto Di Natale e il procuratore generale Di Cataldo [C.Fava, la mafia comanda…, cit., p. 122].  

Scrivevano a proposito i redattori:
E’ opinione diffusa e di chi scrive che la fuga di notizie dal palazzo di giustizia sia stata agevolata dal procuratore aggiunto Di Natale. Un comportamento che si ricollega perfettamente al modo in cui Di Natale per otto mesi ha ritardato, ostacolato o depistato le indagini sull’uccisione di Giuseppe Fava.
I Siciliani, Gennaio 1985.
Nel 1986 un altro articolo faceva il punto sulle indagini per l’omicidio mafioso di Giuseppe Fava. L’inchiesta però resterà ferma per svariati anni, ogni tanto smossa dalle deposizioni di alcuni pentiti, fino all’archiviazione nel 1991, in cui venne stabilito che non c’erano colpevoli. La riapertura dell’indagine avverrà nel 1994 e I Siciliani renderanno pubblici i risultati in quegli anni.
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