venerdì 11 dicembre 2009

La mafia (84-86)


Tra il 1984 e 1985 cominciano ad arrivare i primi arresti per il “terzo livello mafioso”, quello politico. A Palermo viene arrestato l’ex sindaco Vito Ciancimino, amico dei corleonesi. In questa direzione si allargano le inchieste sugli amici dei politici mafiosi, una struttura che opera impunita alla luce del sole.
Ciancimino è, relativamente, un pesce piccolo; ma è il primo leader politico ufficialmente incriminato come mafioso. Questo fornisce un precedente, e una pista da seguire. Un precedente, perché adesso nessuno può più negare che il rapporto fra mafia e politica - il “terzo livello” di cui parlava Chinnici - esista veramente e vada dunque risolutamente individuato e colpito. Uno strumento perché, se Ciancimino è mafioso, la sua mafiosità non si sarà limitato ad esercitarla nel buio di qualche misterioso covo ma l’avrà utilizzata anche e soprattutto nei luoghi in cui faceva attività politica, alla luce del sole. E dunque, analizzando i dati di questa attività (di che corrente era? chi erano i suoi amici politici? chi ha votato per lui nella tale votazione per il tale incarico o il tale appalto?), se ne possono ricavare elementi preziosi non solo per una generica denuncia socio-politica ma anche per le specifiche indagini penali che seguiranno”.
A proposito di terzo livello, I Siciliani, Ottobre 1984
Alla mafia erano dunque toccati, in Sicilia, i seguenti dicasteri: Tesoro e Finanze, coi cugini Salvo; Enti Locali, cogli uomini di Ciancimino; Commercio con l’Estero, con Sindona. Ci limitiamo naturalmente ai soli incarichi pubblicamente ed ufficialmente conferitile, con le dovute procedure, dalle autorità competenti e non anche a quelli più o meno contrattati sottobanco; e solo a quelli scientificamente e indubitabilmente accertati dalla magistratura e non anche a quelli su cui la magistratura sta tuttora indagando. Diversamente, avremmo dovuto prendere in considerazione anche il Commissariato ai Rapporti con l’Europa dell’onorevole Lima, il Ministero degli Affari Da Non Nominare del fu Gioia, il titolare della Pubblica Omertà Drago, l’incorruttibile ministro degli Interni Liggio e anche il molto onorevole ministro dei Contributi Ai Mafiosi, Aleppo. In un modo o nell’altro, tutto questo apparato - che non era affatto nascosto ma operava alla luce del sole - ha pacificamente e, ripetiamo, ufficialmente governato la nostra Isola per molti e molti anni. L’onorevole Lima ha così potuto portare nei consensi europei la nobile voce di questa terra fiera e generosa, mentre il Commercio con l’Estero - ufficialmente riconosciuto da statisti della portata d’un Andreotti - trafficava alacremente con le terre più lontane. Ciancimino e i suoi amici, al Comune di Palermo e altrove, raccoglievano i soldi dei siciliani, che non sapevano che farsene, e li portavano in America; i buoni cittadini, nel frattempo, pagavano onestamente le tasse agli sportelli dei Salvo, che le investivano in opere di pubblica utilità. L’onorevole Drago predicava ai fanciulli che la mafia non esiste e l’onorevole Liggio - coadiuvato dai Prefetti Greco, Badalamenti, Marchese, Santapaola e Ferlito - manteneva inflessibilmente l’ordine nelle province e nelle città. Quanto al titolare dei Contributi A Quei Signori, lavorava come una bestia sedici ore al giorno, e talvolta anche di notte, pur di non rimandare a mani vuote nessuno dei suoi assistiti. A Catania i quattro Cavalieri disponevano appalti e Procure, a Palermo il gran Bali Cassina distribuiva onorificenze e commende, a Roma il ministro della Difesa Ruffini, buon amico dei signori Spatola, passava in rassegna i Regi Carabinieri ogni Quattro Novembre. E tutti vivevano felici e contenti, tranne quelli che non potevano tecnicamente farlo perché raggiunti da raffiche di lupara”.
Orioles, A chi toccherà adesso?, I Siciliani, Dicembre 1984
I redattori continuavano così a vigilare sulle figure di spicco della Sicilia di quegli anni: l’ex assessore Aleppo, il nuovo segretario regionale democristiano Calogero Mannino, l’onorevole democristiano Nino Drago, gli esattori di Salemi Antonino e Ignazio Salvo, il democristiano Salvo Lima, l’onorevole Lo Turco.
Nei primi anni ‘70, da assessore regionale alle Finanze, fu proprio Calogero Mannino ad inventare le cosiddette “tolleranze”, un meccanismo - frutto di alcuni decreti firmati ad hoc dal giovane assessore democristiano - che permetteva ai Salvo di trattenere in banca per diverso tempo, percependo interessi per miliardi, le enormi somme di denaro derivanti dalla riscossione delle imposte per conto dello Stato. Una circostanza che qualche anno fa consentì ad un altro notabile democristiano, Salvatore Sciangula, di definire Mannino «uomo dei Salvo».
M. Gambino, Mannino, Verzotto e la Sitas, I Siciliani, Maggio 1985
 «Santapaola, signor giudice? Un perfetto gentiluomo! Tratti signorili, modi cortesi! Un signore!». A rispondere così, davanti a Falcone che l’interrogava, era l’onorevole Lo Turco, socialdemocratico catanese. Che ci faceva Lo Turco da Falcone? Per via di certe foto, scattate in una certa festa catanese, in cui mezzo Consiglio comunale, democristiani e socialdemocratici in testa, brindava allegramente con Nitto Santapaola, boss della mafia catanese. […] L’onorevole Lo Turco, dicevamo, esercita adesso il nobile mestiere di campione della Legge e dello Stato contro il drago mafioso: in nome della Regione siciliana. Egli infatti, dall’ottobre ‘84, è uno dei componenti di quella Commissione regionale antimafia che, stando ai programmi, dovrebbe contrastare gli interessi delle cosche tanto palermitane quanto catanesi. […] Il partito socialdemocratico, il partito di Saragat e di Goethe, ha ritenuto opportuno farsi rappresentare dall’onorevole Lo Turco. C’è da dire , peraltro, che l’onorevole Lo Turco ha ritenuto molto raramente di onorare della propria presenza le riunioni della commissione; come pure l’onorevole La Russa, anche lui catanese, che alle riunioni non è venuto mai. Il comportamento di Lo Turco e La Russa è stato, per così dire, il modello del successivo comportamento delle forze politiche di maggioranza all’interno della Commissione. Per sabotare una commissione, infatti, non è necessario votare contro; basta far mancare il numero legale nei momenti giusti”.
R. Orioles, Antimafia regionale: il tredicesimo è di troppo, I Siciliani settimanale, 19 Marzo 1986
Sui cavalieri del lavoro catanesi vennero pubblicati: gli scritti promemoria per gli amici e i nemici del cavaliere Rendo, l’inchiesta del giudice Carlo Palermo culminata nell’aprile del 1985 con l’arresto dei cavalieri del lavoro, più le denunce di una serie di appalti strategici e affari sottobanco.
Negli ordini di cattura, firmati il pomeriggio del 18 aprile, ci sono ventisette nomi: i cavalieri, i loro colletti bianchi, mezza dozzina di faccendieri trapanesi ed un noto mafioso. L’accusa è contenuta in poche battute, «associazione per delinquere finalizzata alla formazione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti». In altre parole, alcuni piccoli appaltatori trapanesi emettevano a favore dei cavalieri di Catania fatture per lavori ricevuti in subappalto e mai eseguiti; ed i cavalieri in questo modo avevano avuto buon gioco nell’evadere l’Iva per qualche decina di miliardi […] A recitare il ruolo-chiave nell’intera vicenda delle false fatturazioni, oggi troviamo proprio un uomo di Totò Minore, Francesco Pace: era lui che organizzava i subappalti, che sceglieva i piccoli imprenditori locali che avrebbero dovuto fare il gioco dei cavalieri catanesi, che incassava gli assegni con cui Rendo, Graci, Campagna, Parasiliti e Costanzo pagavano la sua disponibilità, che controllava il buon andamento di tutte le operazioni bancarie collegate al racket delle false fatture. Un’unica cordata, insomma, che parte dai Minore e, attraverso un personaggio del calibro di Francesco Pace, arriva ai cavalieri di Catania.
C.Fava, M.Gambino, R.Lanza, R.Orioles, Fatture false perché i cavalieri, I Siciliani, Maggio 1985
In quell’occasione vennero arrestati Mario Rendo, Pasquale e Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Giovanni Parasiliti, insieme a diversi mafiosi. Erano accusati di false fatturazioni finalizzate all’evasione fiscale; successivamente fu formulata l’accusa di associazione a delinquere. “Ma la prima sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Corrado Carnevale) annullerà i mandati di cattura. Quattro anni dopo, al processo, saranno tutti assolti dall’accusa di associazione a delinquere; dalla condanna per la colossale evasione fiscale li invece salverà un provvidenziale “condono” del ministro delle Finanze Rino Formica (Psi)”.
Dalla cronologia a cura di Sebastiano Gulisano su www.claudiofava.it/memoria
 “Con un po’ di sfortuna il cavaliere del lavoro catanese Carmelo Costanzo, industriale con l’hobby del cemento e delle cattive compagnie, nel giro di qualche anno potrebbe iscrivere il suo nome nel guinness dei primati con un formidabile record: se una delle molteplici vicende giudiziarie che lo vedono protagonista dovesse concludersi con un processo ed una condanna, infatti, il baffuto cavaliere potrebbe essere il primo uomo in Italia, ma probabilmente nel mondo, ad essere processato in un’aula di tribunale costruita dai suoi operai, per poi essere rinchiuso in una cella progettata dai suoi costosissimi architetti”.
M.Gambino, P.Cimaglia, Catania: il carcere del cavaliere, I Siciliani settimanale, 31 Luglio 1986
Sugli esattori di Salemi, i cugini Salvo, pubblicarono ampie inchieste sul riciclaggio di denaro, sul ruolo delle esattorie, sul proliferare di nuove banche, sui rapporti con l’eurodeputato Salvo Lima soprattutto alla luce delle rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta.

Dalle colonne de I Siciliani era frequente il continuo appello all’utilizzo corretto della legge La Torre, che in quel momento faceva paradossalmente confiscare più terreni in Liguria che in Sicilia.
Qualcuno ci regala una statistica sulla legge La Torre. Trentacinque infallibili articoli con i quali faremo tremare la mafia, aveva promesso il ministro degli Interni: ed invece la statistica ci spiega che hanno confiscato più patrimoni in Liguria che in Sicilia, che ci sono più mafiosi nel Veneto che a Palermo o a Catania. Erano pronte tremila schede, aveva assicurato il ministro delle Finanze due anni fa, tutti i boss, i luogotenenti ed i gregari, tutti i patrimoni, i conti in banca, i terreni, tutto... Settembre 1984: i patrimoni confiscati appartengono quasi tutti a mafiosi di mezza tacca; il tribunale di Palermo ha restituito ai Greco di Ciaculli la maggior parte dei loro beni (ricchi possidenti di famiglia, si spiega nella motivazione...); due miliardi era il valore dei beni sequestrati alla famiglia Santapaola, ma sono stati restituiti tutti al legittimo proprietario; Bontade è un mafioso, sua moglie no, spiega il tribunale di Palermo, e quindi i beni intestati alla signora Bontade (terreni, immobili, conti in banca...) non si toccano”.
C. Fava, R. Orioles, Effetto dalla Chiesa, A chi fa ancora paura?, I Siciliani, Settembre 1984
Un lungo lavoro permetteva adesso ai giornalisti di disegnare le mappe della raffinazione e dello smercio della droga. Resero pubbliche le raffinerie dell’eroina e della nuova “droga emergente” la cocaina. Denunciarono il sistema di trasporto di tonnellate di droga: dietro a quelle cassette di arance, spedite al nord, che partivano quotidianamente con i camion dalla Sicilia, si nascondevano spesso i traffici illegali di Cosa nostra; si raccontava così la storia di Lentini e di Scordia e di altri paesini utili agli affari della mafia.
 Le rotte dell’eroina sono ormai stabilmente collegate a quelle seguite dagli agrumi e dai prodotti delle serre, cioè all’intenso movimento di Tir che partono dai grossi centri agricoli a sud-ovest di Catania per risalire la penisola fino ai grandi mercati del Nord: un movimento di 60-70 camion al giorno garantisce un’efficiente ed insospettabile copertura. Ed è appunto questa - da Vittoria a Palagonia, da Scordia a Lentini - una delle principali zone di operazione del gruppo Santapaola”
C.Fava, M.Gambino, Santapaola Wanted, I Siciliani, Marzo 1985
Dipinsero una mafia policentrica, che nella zona del catanese trovava un nodo fondamentale per gli affari di Nitto Santapaola. Il boss, ormai in latitanza da due anni, si aggirava per la Sicilia aiutato dalla quanto mai strana inerzia delle forze dell’ordine. 
 Ad una richiesta di informazioni, proveniente dai carabinieri di Roma, su Benedetto Santapaola nel 1981, il rapporto in risposta, che portava la firma del tenente colonnello Licata, dichiarava Santapaola un elemento al di sopra di ogni sospetto, per nulla pericoloso. “Il tenente colonnello Serafino Licata, all’epoca comandante del gruppo di Catania, oggi incriminato per favoreggiamento personale nei confronti della Famiglia Santapaola. […] L’omicidio Ferlito, la strage della Circonvallazione e la professionalità dell’ufficio istruzione di Palermo (i primi mandati di cattura da Catania verranno spiccati solo due anni più tardi) segnano l’inizio della latitanza di Santapaola […] Si arriva perfino all’assurdo che l’unica foto segnaletica disponibile del boss latitante (risale ad una dozzina di anni fa: altro titolo di merito degli investigatori catanesi!) non venga distribuita nemmeno nei posti di polizia siciliani.”.
C.Fava, M.Gambino, Santapaola Wanted, I Siciliani, Marzo 1985
 Il 22 giugno del 1986 vi furono le elezioni regionali in Sicilia. I Siciliani, tra i candidati alle poltrone dell’ARS, pubblicarono i dieci nomi da non votare.
I contatti tra le banche e il riciclaggio di denaro mafioso furono al centro di numerose inchieste. Il Governatore della Banca d’Italia Ciampi si era rivolto all’antimafia: “Ci sono troppi sportelli bancari in Sicilia”. Su questa scia i redattori pubblicarono una serie di inchieste sul riciclaggio di denaro mafioso nelle banche, il proliferare e la repentina fortuna delle industrie-banche in Sicilia, gli affari degli esattori di Salemi, Nino e Ignazio Salvo.
Si scoprì così che negli anni Ottanta c’erano più sportelli bancari a Trapani che a Bologna o a Genova e che la Sicilia era la regione d’Italia dove si cambiavano più lire in dollari. I giornalisti svelarono come alcune banche siciliane fossero gli attori principali nel grande riciclaggio internazionale delle “narco-lire”. Negli ultimi venti anni gli sportelli delle banche locali erano aumentati del 586% contro una media italiana del 83%. Un moltiplicarsi di nuove piccole banche, facilmente controllabili dai gruppi di potere mafiosi. Insomma la mafia si comportava da “mafia imprenditrice – diceva lo storico Pino Arlacchi -  facendo sue tecniche e comportamenti propri della società industriale”.
 «Ma i fenomeni più patologici - spiega in un documento la segreteria della Cgil-bancari - sono quelli delle industrie-banche: istituti di credito che prosperano con incredibile rapidità, pochi anni dopo essere stati creati, in una regione apparentemente povera». Ne costituisce un esempio la Banca Popolare S. Angelo di Licata, una cooperativa a r.l. che in poco tempo ha saputo moltiplicare sportelli (oggi è presente con venti agenzie in quattro province siciliane ed ha uno sportello perfino a Lampedusa) e depositi: 260 miliardi di mezzi amministrati nel 1982 con un incremento del 31,36% rispetto all’anno precedente, 47 miliardi di depositi in c/c, 250 dipendenti. L’esempio più calzante di quest’industria-banca siciliana resta comunque la Banca Agricola Etnea, l’istituto di credito catanese che appartiene al cavaliere del lavoro Gaetano Graci, uno dei quattro cavalieri - gli altri sono Mario Rendo, Carmelo Costanzo e Francesco Finocchiaro - imputati di associazione a delinquere nell’inchiesta sulle fatture false. «La crescita della Banca Agricola Etnea - e ancora la Cgil-bancari - ha veramente caratteristiche eccezionali. Da un unico sportello aperto nel 1970 a Raddusa, un paesino in provincia di Catania, la banca è arrivata oggi a raccogliere più di duecento miliardi l’anno di depositi». 218 miliardi e 770 milioni, per l’esattezza, nel 1982 con un incremento, rispetto al 1978, del 291%. Oggi la Bae dispone di 18 sportelli sparsi fra le provincie di Catania, Messina ed Enna, ha quattro agenzie stagionali a Panarea, Stromboli, Vulcano e Salina ed è al terzo posto nella graduatoria degli istituti di credito siciliani alle spalle della Banca Sicula di Trapani (che appartiene alla famiglia D’Alì) ed alla Banca del Sud di Messina. Nel dossier “mafia-banche” a cui da diversi anni sta lavorando Giovanni Falcone, un ampio capitolo è dedicato proprio alla Bae”.
C.Fava, M.Gambino, Mafia e Banche, I Siciliani, Aprile 1984
 Altro filone d’inchiesta fu quello sui rapporti tra mafia e terrorismo. Venne a tal proposito individuato un filo diretto tra la strage del Natale 1984 in Val di Sembro e l’attentato di Pizzolungo, preparato per il giudice Carlo Palermo. Un connubio, quello tra mafia e fascisti, seguito anche dal vicequestore di Trapani Giuseppe Peri.
 «Esiste una potente organizzazione dedita alla consumazione dei sequestri di persona, con richiesta di altissimi riscatti per fini eversivi (...). I mandanti dei sequestri vanno ricercati negli ambienti politici delle trame nere e in ambienti insospettabili; questa organizzazione si è servita e si serve delle non meno potenti organizzazioni mafiose siciliane e calabresi (...). Sequestri di persona, attentati, omicidi, tutto fa parte di un’identica strategia intesa a determinare il caos scardinando i poteri di difesa dello Stato al fine di instaurare nuove condizioni di potere e di dominio...». Era l’autunno del 1977, ed il vicequestore di Trapani Giuseppe Peri concludeva con queste parole il suo rapporto: quaranta cartelle dattiloscritte inviate a sette Procure della Repubblica (Trapani, Marsala, Agrigento, Palermo, Torino, Roma e Milano) per ricostruire - sequenza dopo sequenza, responsabilità per responsabilità - la tragica storia di quattro sequestri di persona, sette omicidi ed una strage. Pochi giorni dopo, Peri veniva trasferito d’ufficio - senza alcuna apparente motivazione - in un ufficio periferico della questura di Palermo. Moriva due anni dopo, stroncato da un infarto mentre mani provvidenziali archiviavano definitivamente il suo rapporto”.
Mafia e fascisti, I Siciliani, Giugno 1985
Vennero condotte ulteriori inchieste sulle relazioni tra mafia e servizi segreti, e mafia e P2. Numerosi pezzi furono dedicati alla P2 di Gelli, in particolare ai nomi, resi pubblici, degli aderenti alla loggia. Tra questi ecco spuntare il nome del cavaliere Rendo e le amicizie di Graci con Sindona. Sul banchiere, iscritto alla P2, i giornalisti metteranno in risalto la sua protezione mafiosa e il suo ingegno nel far proliferare banche in Sicilia. I Siciliani seguiranno successivamente il processo a Sindona e la sua uccisione “al cianuro” nel marzo del 1986. Nelle pagine dello stesso anno figurò la storia del colonnello della Guardia di Finanza Salvatore Florio, uno dei primi ad aver investigato sulla P2 di Licio Gelli; firmatario di documenti riservatissimi su Raffaele Giudice, comandante Generale della Guardia di Finanza, Florio morì in uno “strano” incidente d’auto, e i documenti a cui stava lavorando scomparvero.
Ancora su mafia e massoneria, nel marzo del 1986 viene scoperta a Palermo la loggia di “Via Roma 391”, nelle cui liste comparvero i nomi di importanti mafiosi, politici e imprenditori.
 […] un’indagine partita da intercettazioni telefoniche su un traffico di droga tra Palermo, Marsiglia e Miami. Le indagini vengono condotte dal giudice Alberto Di Pisa e portano all’individuazione di ventuno trafficanti di eroina; tra questi ce n’è uno, Giovanni Lo Cascio, che frequenta uno strano appartamento in via Roma 391. Quando scatta l’operazione di polizia vengono perquisiti anche questi locali: si tratta di una loggia appartenente alla Massoneria universale di rito scozzese antico, legata all’obbedienza di Piazza del Gesù (ricordate un certo Gelli?). Tra i documenti vi è una lista di nomi, quella degli iscritti alla loggia, che si trova oggi sul tavolo del giudice Falcone. E’ una bomba: da tempo, diciamo da Sindona in poi, si parla dell’esistenza di un legame operativo fra settori deviati della massoneria (di cui fanno parte personaggi ben introdotti nelle istituzioni, nelle banche, nei giornali, nella politica) e mafia che spara. Ora questa scoperta viene a dare degli elementi di fatto alle ipotesi. Ci sono dentro i mafiosi: Salvatore Greco, fratello di Michele, Totò Greco, della famiglia di Croceverde Giardini, Giovanni Lo Cascio, di Agrigento. E accanto a loro ci sono anche i notabili, i cosiddetti insospettabili. Alcuni ormai noti alle cronache, come i fratelli Nino e Alberto Salvo; altri ancora tutti da scoprire.
Chi ha paura della loggia?, I Siciliani settimanale, 19 marzo 1986
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