sabato 12 dicembre 2009

I Siciliani: Fondatore Giuseppe Fava 1984-1986


La notte del 5 gennaio i giornalisti de I Siciliani decisero di continuare il proprio lavoro e di non cedere al ricatto mafioso che voleva obbligarli al silenzio. Il 7 gennaio fecero circolare una piccola edizione straordinaria: “Un uomo” era il titolo della copertina, quattro pagine formato tabloid dedicate all’impegno del direttore e al coraggio utilizzato nel suo mestiere. Nell’articolo principale, a firma di tutta la redazione, si raccontavano gli anni appena trascorsi: la direzione scomoda di Fava al Giornale del Sud, la nascita e il primo anno de I Siciliani.
Qualche giorno dopo arrivò in edicola il mensile di gennaio: “Ci scusiamo coi lettori per i tre giorni di ritardo di questo numero de I Siciliani” erano le prime parole nell’editoriale, firmato dalla redazione. Continuava l’editoriale:
Non ci interessa qui di rispondere a chi ammonisce che la mafia non esiste, a chi minaccia impaurite vendette. C’interessa rispondere al nostro compito, che è quello di dare una voce udibile e fedele alla Sicilia onesta. […] Ma ora bisogna andare avanti, in modo deciso e organizzato; abbiamo ben risposto all’emergenza, ma ora bisogna programmare. […] Non vogliamo piangere, vogliamo fare.
I redattori volevano dare, insieme alla città, una risposta forte alla violenza mafiosa. Fu il vero inizio del movimento antimafia catanese, che in quel periodo fu presente e forte in città. I giornalisti speravano che la morte del loro direttore potesse almeno servire a qualcosa, a mettere in luce le tragedie della città etnea, a far finire le impunità mafiose, e a raccontare la condizione anormale in cui versava la Sicilia dei prepotenti.

Fin da subito si potevano comprendere i motivi dell’uccisione di Fava. La motivazione lampante era che I Siciliani erano riusciti a cogliere nel segno, a dar fastidio a Cosa nostra a cui non era piaciuta la gestione di quel mensile che svelava finalmente alla città il suo volto più nascosto, quello nero degli affari mafiosi e delle sue amicizie con cavalieri e politici. Era stato un tipico omicidio di mafia, nell’esecuzione, ma anche un avvertimento agli altri giornalisti: la mafia voleva il silenzio. Stavolta Cosa nostra non aveva ucciso qualcuno, come già capitato in passato, che era a conoscenza  di operazioni segrete o inchieste scomode. Pippo Fava, intellettuale, moriva per ciò che rappresentava, un uomo che sapeva parlare alla gente, a cui raccontava, da uomo di teatro, la scena in cui ormai il popolo siciliano viveva, quella della mafia, dei potenti e degli invulnerabili. 
I giornalisti de I Siciliani decisero di continuare a lavorare, in quella terra che si era rivelata più volte ostile alla professione svolta con la schiena dritta. Il loro lavoro per alcuni aspetti cambiò status. Come militari in guerra attuarono delle modifiche alla professione: essere giornalisti a Catania, adesso, voleva dire anche possedere il porto d’armi, per due ragazzi della redazione; voleva dire firmare sempre in due un’inchiesta, in maniera che se avessero dovuto uccidere un giornalista sarebbe stato l’altro a continuarla. Chiesero inoltre aiuto ad un gruppo di intellettuali per svolgere il ruolo di garanti della loro professione: i testimoni del loro lavoro presso l’opinione pubblica nazionale, rappresentanti della società civile erano Pino Arlacchi, Nando dalla Chiesa, Alfredo Galasso, Guido Neppi Modona, Gianfranco Pasquino, Stefano Rodotà. Tutto quello che veniva scritto sul giornale era mandato anche a loro. Alcuni di quegli intellettuali divennero in seguito anche dei forti punti di riferimento della redazione, come nei casi di dalla Chiesa e Galasso.
Il giornale cambia pelle, anche perché l’apporto fondamentale del direttore non vi è più. La rivista del dopo Fava è un giornale di “guerra”, come lo definiscono oggi alcuni di quei redattori. I Siciliani volevano vendicare l’uccisione del loro direttore, avevano trovato il loro nemico, mafia e cavalieri, e cercavano di puntarlo solamente attraverso il lavoro che Fava aveva insegnato loro, la rivoluzione tramite la parola. I settori culturali e di costume si indebolirono, i numeri risultarono meno bilanciati nelle loro diverse parti, mentre dall’altro lato le inchieste sulla mafia si ampliavano e si indurivano. Scrissero tante inchieste, sempre di tipo investigativo, il cui lavoro impegnava dei mesi, ma che alla fine davano grosse soddisfazioni e un grande contributo di conoscenza. Era come fare “giornalismo libero a Varsavia”, disse una volta Riccardo Orioles in occasione di un convegno organizzato dal sindacato nazionale dei giornalisti a Catania, dal titolo “Giornalista nel sud”. Il concetto era semplice: per farsi strada bisogna anche urlare. Qui in Sicilia c’è la guerra.

I Siciliani diventa anche un movimento che cerca di fare coagulare intorno a sé la società civile catanese: studenti, associazioni, collettivi, tutti insieme contro la mafia. È la continuazione di quel movimento antimafia siciliano, nato il giorno dopo l’uccisione di dalla Chiesa. Animato dagli stessi ideali nasce il supplemento I Siciliani giovani, luogo di espressione giovanile, fatto dagli studenti delle scuole medie superiori e rivolto alle scuole: uno strumento originale che farà crescere dei ragazzi che saranno fondamentali nell’esperienza de I Siciliani negli anni Novanta.
I Siciliani giovani era un giornale che cercava di raccontare; lì c’è una idea che riprende l’idea di Fava, raccontare le storie di vita. C’è sempre una vicenda umana dietro il mattinale della questura e Riccardo Orioles ce lo aveva trasmesso; ci faceva riscrivere il pezzo tantissime volte fino a renderlo discreto. Ne I Siciliani giovani c’era il mestiere, c’era l’aggregazione politica e c’era il movimento; tutti arrivavano con le proprie motivazioni. Era una maniera per essere presenti, l’unico e il nuovo in quel momento. Un periodo che inizia nell’84 e finisce grosso modo nell’86. Sul versante movimento c’era stata l’idea del centro sociale, uno spazio vuoto da occupare, che all’epoca avevamo individuato ne “la centrale del latte”, nel quartiere Barriera di Catania. Sul versante del giornale, i ragazzi dei Siciliani giovani vanno a confluire ne I Siciliani settimanale attraverso le pagine della cronaca. Era una palestra, ogni giorno facevamo il giro delle questure e ospedali a caccia di notizie”.
[Gianfranco Faillaci, intervista]
Furono tantissimi i cittadini accorsi al primo anniversario della morte del direttore, il 5 gennaio 1985, quando venne organizzata una grande manifestazione:
Oggi, cinque gennaio, saremo in piazza, i siciliani onesti, per ricordare un uomo. Un uomo, e la sua lotta: cos’altro si può dire? Tutti sappiamo di che si tratta. Ritroviamoci dunque tutti insieme; questa sera, e nelle migliaia di giorni che seguiranno. Perché ci saranno ancora migliaia di giorni, migliaia di mattinate a Palazzolo, migliaia di dolci sere a Siracusa, migliaia e migliaia di giorni sulla faccia della terra; e migliaia di speranze, passioni, entusiasmi, delusioni, amicizie, progetti, ed ancora entusiasmi e delusioni, e rinnovate speranze ed amore; e in ciascuna di esse ci sarà qualcosa di Giuseppe Fava, qualche cosa di lui e di tutti gli esseri umani come lui. E a questo, non potranno sparare.
[La redazione de I Siciliani, Un uomo e la sua lotta, I Siciliani, Gennaio 1985]
Furono numerosi i partecipanti accorsi alla manifestazione: era il frutto del lavoro di un anno a contatto con la città. Nelle strade di Catania manifestavano i braccianti, gli studenti, i maestri di scuola, i bambini e i docenti universitari, tutti insieme per ricordare Pippo Fava. In via dello Stadio, luogo dove venne assassinato, alcuni ragazzi si arrampicarono su una parete per appendere una targa: “via Giuseppe Fava”.
Nacque anche un’associazione, dal nome “I Siciliani”; non era più sufficiente essere semplicemente un giornale, c’era il bisogno che diverse iniziative, sostenute e gestite da tutti i cittadini, convergessero in un unico obiettivo, liberarsi dalla mafia. L’associazione diventò così il centro di nuove idee e proposte, e si fece promotrice, tra le altre, di una iniziativa  per la gestione pubblica dei beni sequestrati a Cosa nostra.
Intanto nel 1985 I Siciliani decisero di diventare settimanale, per essere una voce più presente e rispondere ad una situazione d’informazione sempre più buia. Era un giornale disegnato sullo stile del vecchio “Espresso”. Avevano progettato un piano di finanziamento che si basava sulla solidarietà del movimento antimafia. Ma i riflettori sulla vicenda cominciavano già a spegnersi, e molte promesse non furono mantenute.
Si apre così un periodo arduo per I Siciliani, senza soldi, poiché gli imprenditori continuavano a non esporsi così responsabilmente contro la lotta alla mafia, e con turni di lavoro ancora più serrati che arrivavano adesso alle diciotto ore. Ovviamente nessuno stipendio in vista per nessuno dei giornalisti professionisti.
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