venerdì 1 gennaio 2010

Il Giornale del Sud


Nel 1980 gli imprenditori etnei Recca e Lo Turco contattarono personalmente Fava, che ormai si era stabilito a Roma. Avevano un’offerta importante: affidargli la direzione di un nuovo giornale catanese, un quotidiano del mattino che si prefiggeva di mettersi in concorrenza con La Sicilia, presentandosi come una voce indipendente e libera. In realtà l’intenzione politica era ben altra, adesso facilmente intuibile, all’epoca difficilmente decifrabile. I nomi che si celavano dietro la proprietà del nuovo giornale erano quelli del cavaliere del lavoro Gaetano Graci, di due politici, il socialdemocratico Salvatore Lo Turco e il democristiano Giuseppe Aleppo (già assessore all’Agricoltura), e dell’esattore comunale Salvatore Costa.

“I loro nomi, allora, dicevano ben poco […] tipi ambiziosi, astuti, pragmatici. Nient’altro” (C.Fava, La mafia comanda a Catania, p.99). Quel giornale in teoria doveva essere al servizio dell’editore, uno strumento utilizzabile a fini elettorali, visto che all’orizzonte c’erano le elezioni del 1981. Ma non solo, la creazione di quel giornale era una operazione di “riequilibrio” che riguardava la proprietà del sistema informativo etneo. Infatti, tra i potenti cavalieri del lavoro catanesi, l’unico a non avere un organo d’informazione era proprio Gaetano Graci (Rendo allora era proprietario di Telecolor, mentre Costanzo si diceva fosse socio di Mario Ciancio a La Sicilia, oltre ad avere l’emittente Telejonica) [A. Laudani in C.Fava, L’istruttoria, Catania, Fondazione Fava, 2005, p. 47].

Gli editori volevano così comprare la possibilità di poter dire la propria nel “solito” panorama editoriale catanese. “Lo Turco, Graci, Aleppo e Costa erano soltanto gli editori rampanti d’un nuovo quotidiano, ricchi e spregiudicati. Apparentemente inoffensivi” [C.Fava, La mafia comanda...]. Qualche anno più tardi fu proprio la redazione de I Siciliani a far luce sugli affari di quel gruppo di imprenditori: tangenti e collusioni con la mafia erano le principali violazioni. Fu Tony Zermo, giornalista di punta de La Sicilia, a consigliare all’imprenditore Recca di prendere in considerazione la possibilità di affidare la direzione del giornale a Fava [A Laudani in C.Fava, L’istruttoria, p. 47].

Giuseppe Fava fu scelto perché era ritenuto uno dei giornalisti più bravi in circolazione, non possedeva tessere di partito ed aveva il coraggio necessario per iniziare da zero l’esperienza di un nuovo giornale. Fava accettò la direzione, non prima però di aver scritto di propria mano il contratto da stipulare con la proprietà. Claudio Fava a proposito ricorda alcune parole del padre: “se io vengo, se mi chiamano, sanno chi sono e sanno di chiamare un giornalista che farà questo giornale con il massimo grado di libertà. E siccome non mi fido di nessuno, me lo metto per iscritto” [Claudio Fava, intervista]. Aveva preparato di suo pugno un contratto in cui in dieci righe si trattavano gli elementi economici, mentre nelle restanti quattro cartelle erano contenute, con una sorta di editoriale, tutti i suoi diritti di Direttore, le libertà principali e ciò che aveva diritto assoluto di fare in quel giornale, “contratto che onorò, mettendo la proprietà in grande disagio” [Claudio Fava, intervista].
Mise in piedi una redazione giovanissima, chiamando alcuni dei ragazzi arruolati durante l’esperienza de l’Espresso sera. Nessun collega de La Sicilia si offrì di aiutarlo [“Quando nacque questo giornale mio padre pensò subito a qualcuno dei suoi vecchi colleghi de La Sicilia. Li cominciò a chiamare uno ad uno a quei 5 o 6 colleghi, della sua età, a qualche passo dalla pensione. Gli dissero tutti di no”. Claudio Fava, intervista]. L’età media era di ventitre anni, e molti di quei giovani erano alle prime armi. Grazie a quella esperienza giornalistica molti di quei ragazzi impararono il mestiere. Fava li aveva scelti e formati ad uno ad uno. Iniziarono tutti dalla cronaca nera, il genere informativo per cui si contraddistinse il giornale:

Il Giornale del Sud concentrò i suoi sforzi su quello che viene considerato a torto un genere minore: la cronaca nera. Cominciò a raccontare le stragi, gli attentati, gli omicidi e tutta la violenza che flagellava Catania al ritmo di un morto ammazzato al giorno, facendo per la prima volta nomi e cognomi dei capiclan. Il Giornale del Sud non scriveva che la vittima era stata uccisa per una guerra tra clan rivali, scriveva che un commando di Santapaola aveva ammazzato un killer del clan Ferlito.
Sebastiano Messina in M.Finocchiaro (a cura di), La maestra e il diavolo, p. 51

I giornalisti del Giornale del Sud furono i primi a parlare di mafia, scrivendo con “nomi e cognomi: la mappa delle famiglie vincenti, la loro consistenza “militare”, le rotte dei loro traffici, le contiguità politiche” [C.Fava, La mafia comanda...].
Il primo numero uscì il 4 giugno del 1980. Fava nell’editoriale parlava dei tre principi che avrebbe seguito nella conduzione del quotidiano: “tutti i giornali che vengono alla vita, nel primo giorno di pubblicazione, affermano sempre assolutamente tre parole. Tre principi: popolo, giustizia, verità!”.

Soprattutto la verità, che “non è quella che arriva ai giornali attraverso i comunicati ufficiali, le conferenze stampa, i discorsi del potere, i mattinali della questura, i bilanci della società, le sentenze dei magistrati, ma quasi sempre un’altra più segreta e difficile, nascosta fra le cento pieghe ostili della società, camuffata in mille modi, deformata da una infinità di interessi, menzogne, corruzioni. La verità non arriva mai con le sue gambe sui tavoli di un giornale, ma bisogna andarla a cercare dovunque, scovarla dove essa sia e dove l’hanno intanata, riconoscerla perfettamente per raccontarla nella sua vera identità”.

Noi viviamo in un paese sporcato dal sangue – continuava Fava – dalla imbecillità, dalla vanità e dalla violenza del potere. […] c’è la strafottenza politica di noi siciliani, popolo, siciliano intendo, cinque milioni di esseri umani che continuano a delegare il loro destino ai meno capaci. Cioè cinque milioni di esseri umani intelligenti i quali potrebbero essere al centro della civiltà mediterranea e non riescono a organizzare il loro destino.
Ecco, noi siamo giornale del Sud per questo; per dare ai siciliani quella presenza politica e culturale che aspettavamo. Diciamo politica poiché tutti i problemi della società, la giustizia, la violenza, l’economia, la morale, costituiscono politica. E diciamo cultura poiché noi vi racconteremo tutto quello che accade, nella attualità dell’Italia e dell’estero, nella cronaca di Catania e delle altre città siciliane, nell’arte, nello spettacolo, nello sport, e di ogni cosa che accade cercheremo sempre, onestamente e profondamente di capire il come e il perché. Questa è cultura. Ecco appunto, noi vogliamo lottare ogni giorno (e non c’è alcuna retorica in questa parola, ma solo collera, amore e orgoglio) per organizzare il destino di noi siciliani.
Giuseppe Fava, Con amore collera e speranza, Giornale del Sud, 04/06/1980

Lo strumento alla ricerca della verità era quel tabloid di trentadue pagine - divise tra nazionali, esteri, sport e cultura - piene zeppe di vita della città: di cronaca, degli affari della mafia, dell’impunità e della cattiva gestione del potere politico, del fallimento delle opere pubbliche, dell’inquinamento del mare siciliano.

Il contrasto con gli editori si palesò molto presto. Inizialmente fu il cavaliere Graci ad intervenire personalmente, venendo allo scoperto, in seguito delegò il proprio avvocato Alfio Tirrò allo svolgimento di un lavoro di controllo, con funzioni censorie, di tutti gli articoli prima della loro pubblicazione. Erano sotto accusa non solo gli articoli che andavano “contro la proprietà” ma soprattutto quelli che riguardavano Cosa nostra catanese, nella figura del capo indiscusso Benedetto Santapaola, che un giorno si presentò personalmente nell’ufficio del cavaliere, con cui già andava a caccia [A.Laudani in L’istruttoria, p. 48]. Furono diverse le occasioni di scontro con la proprietà del giornale, che addirittura tentò di imporre alla direzione il licenziamento della giornalista Giovanna Quasimodo, autrice di inchieste sull’irregolarità dell’amministrazione comunale [Riccardo Orioles, interv., in L.Mirone, Gli insabbiati, p. 180].

Chi ha detto che a Catania non c’è mafia?
Nessuno era ancora convinto, guardando al degrado e alla violenza della città, che si potesse affermare che a Catania ci fosse una mafia, solida e radicata, che si stava sviluppando davanti agli occhi inerti dell’opinione pubblica e davanti all’impotenza dello Stato. Il Giornale del Sud ogni giorno pubblicava molti servizi sui morti ammazzati, cominciando timidamente a delineare la mappa degli interessi mafiosi e delle famiglie vincenti. Ma c’era da sensibilizzare anche la gente comune che pensava che la mafia fosse una malattia che attanagliava solo Palermo e che non coinvolgeva altre realtà isolane:

Da sempre si suole dire che la Sicilia orientale è immune dalla mafia e che questo tragico fenomeno devasta soltanto la vita sociale nell’occidente dell’isola. Cioè come se esistesse, a metà della Sicilia, una specie di immaginaria linea di confine: da una parte stanno i buoni e dall’altra i sanguinari. Palermo, imponente e sonnolenta sarebbe la sovrana della Sicilia terribile, Catania ironica e laboriosa la capitale della Sicilia mansueta. Praticamente si verrebbe a determinare questo incredibile fenomeno storico: che la mafia, capace di stravolgere le grandi città del mondo da New York a Milano, da Los Angeles a Marsiglia e Napoli, arrivata sulla sponda sassosa del fiume Imera, lungo la vallata fra Caltanissetta ed Enna, si ferma.

Fava continuava illustrando le caratteristiche della mafia moderna, tre componenti precise, riscontrabili anche nella Sicilia orientale:

Primo l’appropriazione con la violenza, se necessario con la morte del concorrente di una ricchezza (appalti, commerci, mercati) e quindi la costituzione di un diritto negato dalla legge. Secondo la impotenza dello Stato e quindi dei suoi strumenti civili, magistrati, polizia, parlamento, a imporre il suo diritto, che è la legge di tutti i cittadini. Terzo, infine, la rassegnazione degli stessi cittadini alla impotenza dello Stato e alla incontrastata potenza dei violenti. […] A Catania e nella provincia di Catania gli assassini si susseguono con una costanza allucinate, e non c’è mai una componente sentimentale all’antica, la gelosia, la sfida malandrina, la ragion d’onore. […] L’industria che vanta a Catania il più alto fatturato è certamente quello delle estorsioni: migliaia di commercianti, negozianti, operatori economici o di mercato, appaltatori, pagano mensilmente un prezzo alla criminalità per non essere assaltati. […] Non è stato scoperto mai l’autore di un solo assassinio, e gli operatori economici continuano a pagare […] potranno magari frodare cento volte il fisco, ma non sgarrano un giorno a pagare il pizzo. Così l’economia catanese sta morendo. Una delle ragioni, forse quella essenziale per cui tutta Catania sta morendo. Le componenti ci sono tutte: l’appropriazione violenta del diritto alla ricchezza, la totale impotenza dello Stato a fare giustizia, la rassegnazione vile del cittadino.
Giuseppe Fava, Chi ha detto che a Catania non c’è mafia?, Giornale del Sud, 23/08/80


L’attentato
La notte tra il 18 e il 19 gennaio del 1981 la redazione subì un attentato intimidatorio. Una bomba carta era stata posta davanti l’ingresso secondario del giornale, nell’unico giorno in cui il Giornale del Sud non lavorava. Un segnale intimidatorio preciso. Queste furono le parole di Fava il giorno seguente:

Un attentato è stato compiuto la sera di domenica contro il nostro giornale: una potente carica esplosiva ha divelto la pesante saracinesca di uno degli ingressi, devastando il locale adiacente, fracassando le grandi vetrate e danneggiando due auto in sosta. Nessuno – sia esso mercante politico, operante di malaffare o criminale – ha rivendicato l’ignobile gesto. In realtà coloro i quali hanno compiuto questi atto di violenza, hanno sbagliato tutto. Non hanno cioè capito che il Giornale del Sud è nato anzitutto per dire la verità, la onesta limpida verità su tutto e tutti, su qualsiasi problema, fatto, evento, in modo che i siciliani possano essere sempre informati sulla società dentro la quale vivono e quindi operare in coscienza le loro scelte. E in questa società siciliana, spesso maltrattata e offesa da una informazione parziale o interessata, il Giornale del Sud – ben al di là di suoi eventuali meriti di stile e di cultura – rappresenta questa voce assolutamente onesta, assolutamente indipendente da qualsiasi potere e intende, ogni giorno, battersi per tre principi fondamentali: la verità, la libertà e la giustizia. Lo abbiamo scritto sulla prima pagina del nostro primo numero e possiamo confermarlo, senza retorica ma con decisione morale. Non ci sarà attentato o violenza che potrà per un attimo fermare il Giornale del Sud. Dentro il quale lavorano uomini i quali (tutti) di questi principi hanno fatto una idea della vita.
Giuseppe Fava, Attentato al nostro giornale, Giornale del Sud, 20/01/81

Quella che all’inizio sembrava una battuta (“secondo me la bomba se la sono messi loro stessi perché ormai si spaventavano del loro stesso giornale”) fu confermata molti anni dopo dalle dichiarazioni di alcuni pentiti che confermarono che i mandanti dell’attentato erano stati gli stessi editori [Michele Gambino, Nel nome di Graci, I Siciliani Nuovi, Giugno 1994].

Gli euromissili a Comiso
Nell’agosto del 1981 Fava pubblicò una serie di editoriali ed articoli contro la decisione del governo di installare dei missili americani nella Base Nato di Comiso, paese in provincia di Ragusa.
La posizione del Giornale del Sud era stata netta e chiara: “No ai missili atomici” aveva titolato il giornale di Fava, schierandosi a favore del movimento pacifista e ribadendo il chiaro rifiuto ai cruise americani. Questa dichiarazione contrastava con gli interessi della proprietà, a tal punto che venne fatto recapitare a Fava un telegramma nel quale gli si ricordava che il giornale si muoveva nell’ambito del Patto atlantico. La tensione fra la proprietà e la direzione in quel momento fu altissima: una delle prime mosse architettate da parte degli editori al fine di “addomesticare” la redazione fu quella di affiancare a Fava il giornalista Umberto Bassi come vicedirettore.

Il caso Ferlito
Catania intanto diventava sempre più centrale nello scacchiere del traffico di droga internazionale. “La via dell’eroina ora passa da Catania […]. La malavita catanese nel traffico ormai c’è da più di due anni”, erano state le parole di Riccardo Orioles, cronista del Giornale del Sud, che in quel periodo si stava occupando di un’inchiesta atta a tracciare le rotte mondiali della droga, collegate allo spaccio di eroina e cocaina nella città etnea, controllato da alcune famiglie mafiose catanesi (i Cutaja, gli Ercolano e i Ferrera, tutte famiglie collegate al boss Santapaola) [L.Mirone, Gli insabbiati, p. 181].

Verso la fine di settembre del 1981 Alfio Ferlito, boss della famiglia rivale ai Santapaola, era stato arrestato alla periferia di Milano con un camion carico di droga. Il Giornale del Sud dedicò all’avvenimento un largo e dettagliato spazio nella cronaca: la storia del boss Ferlito, i rapporti d’inimicizia con il clan Santapaola, il tutto sottolineando la parentela con l’assessore ai Lavori pubblici del comune di Catania. Ricorda il giornalista Antonio Roccuzzo che, poichè nella vicenda era coinvolto un noto mafioso il cui cugino era un assessore al comune etneo, “la Catania che contava faceva il giro delle redazioni per far cancellare la cronaca dai giornali: e ci riusciva” [Antonio Roccuzzo in M.Finocchiaro (a cura di), La maestra e il diavolo, p. 161]. Proprio quel giorno il direttore Giuseppe Fava si trovava a Roma. Il servizio, preparato dai giornalisti Claudio Fava e Riccardo Orioles, venne fermato sui tavoli del vice Bassi. L’articolo fu ridimensionato e “corretto” da Tirrò, l’avvocato di Graci, sotto l'assenso del vicedirettore.
Claudio Fava ricorda a proposito che spesso la proprietà, dopo avergli affiancato il vice, approfittava delle assenze del direttore per censurare alcuni articoli.

Il licenziamento e l’occupazione
Poco più di una settimana dopo arrivò per Giuseppe Fava il telegramma di licenziamento. Il motivo principale per cui Fava veniva congedato era che aveva ridotto in deficit i conti del giornale. Non era un motivo accettabile per i redattori che, essendo a conoscenza dei precedenti attriti con la proprietà, scelsero democraticamente di occupare per protesta la sede del giornale per cinque giorni. L’occupazione finì il sesto giorno dopo l’intervento pacificatore del sindacato, che spiegò ai redattori che il direttore era stato licenziato per una giusta causa. Le proteste dei giornalisti non vennero ascoltate, avallando così la nomina a direttore del vice Bassi. Giuseppe Fava così lasciava la direzione del giornale, appena dopo aver affermato il suo manifesto intellettuale di giornalista, nello spazio delle lettere al direttore:

Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali: ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze. le sopraffazioni. le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!.
Giuseppe Fava in Rubrica delle lettere, Giornale del sud, 11/10/1981


Il giorno dopo Fava si congedava dai suoi lettori, con un articolo intitolato “Una lotta civile”, raccontando la sua esperienza alla direzione del giornale e descrivendo lo stato attuale del quotidiano:

Esattamente nel gennaio 1980 un gruppo di imprenditori catanesi, che non conoscevo personalmente, ma che mi offrirono tutte le garanzie morali e professionali, mi invitò a dirigere un nuovo giornale a Catania, il Giornale del Sud che doveva rappresentare la voce di una generazione nuova e intraprendente di siciliani. Io avevo lavorato per quasi trent’anni in giornalismo, in tutti i settori, avevo scritto centinaia di articoli, inchieste, servizi. Trent’anni sono tanti, metà della vita, e io li avevo spesi appassionatamente in una professione che, prima d’essere lavoro, è arte di vivere. […] In questo anno e mezzo la consistenza dell’azienda editoriale […] si è però modificata. L’intenzione civile e la posizione politica sono diverse, rispetto a quelle che erano al momento in cui accettai di creare questo nuovo giornale. E dunque, per rispetto verso l’azienda, verso me stesso, e soprattutto verso i siciliani, me ne vado! Bisogna anche dire che, tenuto conto della inconciliabilità delle rispettive posizioni etiche (la concezione stessa del valore e della funzione di un giornale nella società) e politiche (l’azienda aveva da sostenere interessi politici che io respingevo) l’editore mi ha anche civilmente proposto di rassegnare le mie dimissioni, concordando una formula che fosse la più amabile possibile, come è nella tradizione borghese del giornalismo italiano. Ho rifiutato perché fosse chiaro dinnanzi a tutti che non abbandonavo il posto di lotta e che fino all’ultimo avevo tenuto fede ai miei impegni civili verso i compagni di lavoro e verso i cittadini

Lascio un giornale perfettamente vivo e valido, creato dal niente e tuttavia in sicura espansione, con una redazione di giovani avviati alla professione […]. Li considero l’opera più bella della mia vita di giornalista. Auguro loro di non tradirsi mai e di poterli incontrare ancora [Giuseppe Fava, Una lotta civile, Giornale del sud, 12/10/1981].

Il nucleo storico de I Siciliani nacque quel giorno, “una dozzina di ragazzi in tutto: per un’avventura del destino e per merito del loro direttore, quel gruppo umano aveva imparato più rapidamente d’ogni altro cos’era diventata Catania. […] Nell’autunno del 1981, quei ragazzi rappresentavano per la città il primo autentico movimento d’opinione antimafioso” [C.Fava, La mafia comanda...].
  • Stumble This
  • Fav This With Technorati
  • Add To Del.icio.us
  • Digg This
  • Add To Facebook
  • Add To Yahoo

Creative Commons License
Questa opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons.
 
I Siciliani di Giuseppe Fava è un blog pubblicato sotto licenza Creative common
theme by Introblogger