sabato 2 gennaio 2010

Gli anni dell'Espresso sera


Dal 1956 al 1978 Giuseppe Fava collaborò al quotidiano catanese del pomeriggio Espresso Sera, sempre in qualità di capocronista. La testata fu rilevata, intorno agli anni Sessanta, dall’editore Mario Ciancio Sanfilippo. La Sicilia e l’Espresso Sera, dal 1968, ebbero una sede congiunta in un moderno palazzo costruito lungo la circonvallazione di Catania.

Gli anni all’Espresso Sera furono importanti per la maturazione del giornalista Fava. Da capocronista, per anni, si occupò dell’organizzazione delle pagine di cronaca nera, seppur la sua firma comparisse principalmente nelle recensioni cinematografiche e nella terza pagina. Dal 1974, poi, Fava iniziò a scrivere anche articoli di fondo e lettere aperte, spunti e stimoli per un dibattito culturale sull’attualità catanese. Erano gli anni in cui Catania stava mutando vesti. Si era meritata il soprannome di “città nera”, inizialmente per il successo elettorale del MSI, secondo partito catanese dietro la Democrazia Cristiana, poi come città insanguinata dai continui delitti e omicidi, alcuni riconducibili al clima politico di teppismo neofascista, altri, la maggior parte, dovuti agli scontri per regolamenti di conti nella faida criminale tra le famiglie catanesi.

Nelle sue “lettere aperte”, indirizzate a figure delle più importanti istituzioni etnee - sindaci, onorevoli e procuratori - Fava descriveva e analizzava le cronache di una città stravolta dalla violenza, scagliandosi contro l’inerzia del potere, responsabile dello stato di miseria e disperazione che la città attraversava:

Catania in definitiva è una città in cui questa facilità di ricchezza e questa inesorabilità della miseria, questa continua possibilità di imbroglio morale e politica nella conquista della vita, questa continua negazione di ogni diritto o principio di pubblica morale, provoca in migliaia di giovani una irresistibile vocazione alla violenza […]. Ora Catania è questa, sanguinaria, immorale, spietata, ingovernata, una città dove la società attuale, cioè questa interpretazione della democrazia, sta sperimentando tutte le sue infamie ed i suoi inganni, una città che fa paura ed ha paura.
Giuseppe Fava, Cosa accadrà a Catania, Espresso Sera, 29/12/1975


Il 5 aprile del 1976 Fava parlava per la prima volta del cancro che stava ammorbando la città. Non era più semplice delinquenza: sullo sfondo estorsioni, corruzioni, malgoverno. Catania era la città dove:

le piccole orde giovanili, nella impossibilità di continuare nell’assalto alle banche, agli uffici postali, alle gioiellerie, si sono dedicate a una speculazione criminale più oscura, più sordida e più tranquilla, vale a dire l’estorsione ai pubblici esercizi. […] Questo sta accadendo a Catania. E questa è mafia. Qualunque cosa si possa dire, questa è mafia. Poiché la mafia è lotta tra opposti interessi criminali, tesi a saccheggiare gli interessi economici di una città ed a creare un monopolio della violenza e della paura per sottomettere il cittadino.


Non ci sono dubbi per il giornalista, in una città “quasi dissanguata dalla corruzione, paralizzata dalla incapacità politica, ammorbata dalle immondizie, istupidita dalla mancanza di cultura. Bene, ora ha anche un cancro che si chiama mafia!” (Giuseppe Fava, La mafia ha vent’anni, Espresso Sera, 05/04/1976).

Intanto Fava attraversava, sull’altro fronte, uno dei periodi più prolifici della sua produzione: erano gli anni della sua consacrazione letteraria, nei quali firmò opere teatrali come La violenza, Il proboviro, Bello bellissimo e romanzi come Gente di rispetto e Prima che vi uccidano.
Per quanto riguarda il giornalismo cominciò una collaborazione con il quotidiano La Sicilia, per cui scrisse una serie di inchieste giornalistiche per raccontare la sua terra: girando per l’amata isola, Fava affrescava il ritratto di una regione fortemente contradditorio, fatto di bellezze tragiche e di felicità mancate. Un reportage di gusto letterario in cui mette sotto “processo”, cercando colpe e responsabili, la Sicilia tutta. Le inchieste vennero poi pubblicate nel volume Processo alla Sicilia [1967] e riprese come spunto ne I Siciliani [1980], quando ripercorrerà lo stesso itinerario per il “secondo appello”.

Il vecchio direttore di Espresso Sera, Girolamo Damigella, andava in pensione. L’ambiente catanese dava per scontata una direzione Fava, che già dagli anni Settanta si occupava di tutta la gestione operativa ed editoriale del giornale. Le forti resistenze interne impedirono però l’attribuzione del ruolo di direttore a Fava, a cui venne proposto in cambio un periodo di prova a La Sicilia come redattore aggiunto alle province. Dopo questa proposta, probabilmente provocatoria vista la fama nazionale di cui ormai godeva, Fava lasciò Catania ed il giornale con cui per più di venti anni ne aveva seguito la cronaca.

Si trasferì a Roma dove condusse per la RAI la trasmissione radiofonica Voi ed io e dove iniziò a collaborare alla terza pagina del Corriere della Sera. Nel 1980 il film Palermo oder Wolfsburg, del quale Fava aveva realizzato la sceneggiatura, ispirandosi al suo recente romanzo Passione di Michele, vinse l’Orso d’oro al Festival cinematografico di Berlino. Nello stesso anno pubblicò il volume I Siciliani, da cui trasse dei contenuti che vennero utilizzati per una serie di inchieste televisive trasmesse dalla RAI.
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