domenica 27 dicembre 2009

I Siciliani: Direttore Giuseppe Fava 1983-1984


La storia de I Siciliani inizia negli stessi giorni del licenziamento di Fava dalla direzione del Giornale del Sud. Si era parlato durante l’anno, tra le scrivanie della redazione del quotidiano, della possibilità di fondare insieme un nuovo periodico. Il sogno di Fava e dei suoi ragazzi era un giornale libero, popolare, senza padroni, edito e gestito da una cooperativa, in maniera che la proprietà fosse degli stessi giornalisti che ci lavoravano. Per questa idea i redattori cominciarono a riunirsi dal dicembre dell’1981, lavorando al progetto editoriale durante tutto l’anno seguente.

Fava e i suoi ragazzi avrebbero voluto dare vita ad un settimanale o ad un quotidiano ma, visto le condizioni economiche di partenza, optarono per la scelta del mensile. Venne rilevata la cooperativa RADAR, una vecchia cooperativa di cui Pippo Fava era già membro, in cui entrarono tutti i giornalisti che gli erano stati accanto nell’esperienza del quotidiano catanese e che si erano battuti per lui nella scelta della proprietà di sollevarlo dall’incarico. Ricordiamo quei giornalisti, nucleo fondatore de I Siciliani: Elena Brancati, Cettina Centamore, Claudio Fava, Miki Gambino, Giovanni Iozzia, Rosario Lanza, Riccardo Orioles, Nello Pappalardo, Giovanna Quasimodo, Antonio Roccuzzo, Fabio Tracuzzi e Lillo Venezia. Non avevano più uno stipendio, ma avevano adesso un loro giornale per essere padroni delle loro scelte e della loro storia. Tutti non avevano avuto nessun dubbio a seguire il loro direttore.

La cooperativa richiese e ottenne un fido regionale da duecentocinquanta milioni, con cui furono acquistate due rotative da un’asta in Svizzera, firmando delle cambiali. Avevano affittato uno scantinato ai piedi dell’Etna, a S.Agata li Battiati, dove installarono la tipografia (macchine e computer e un piccolo studio fotografico), e dove fu organizzata la redazione. Per dare una copertura economica al progetto avevano predisposto una tipografia commerciale al fine di racimolare qualche soldo in previsione del lancio del giornale. Per rodare le macchine lavorarono per qualche tempo a Walkie Talkie, un giornale in lingua inglese indirizzato agli americani della Base Nato di Sigonella. Parallelamente la cooperativa si dedicava anche ad altri piccoli lavori tipografici.

Bisognava aspettare il momento giusto per partire con l’esperienza:
“A fine novembre, Pippo Fava arriva in redazione […] e fa: “Ragazzi, si fa il giornale”. “Quando?” “Con quali soldi?” “Io faccio il pezzo sulla Procura!” “Come lo chiamiamo?” “Io ho un’idea per il pezzo di colore” “Ma i soldi...”.
[La redazione de I Siciliani, Un uomo, I Siciliani, Gennaio 1984]

Entro la fine del 1982 I Siciliani doveva essere in edicola. Quella di Pippo Fava era stata una forzatura sul piano dei tempi ma profetica, una mossa doverosa alla luce dei fatti di sangue di quell’anno: l’omicidio dalla Chiesa, che poco prima di essere ucciso aveva pubblicamente additato i cavalieri del lavoro di Catania di collusione con la mafia, e la strage della circonvallazione di Palermo, dove era stato ucciso il boss catanese Alfio Ferlito. Di questi due omicidi era stato incriminato Nitto Santapaola, boss della mafia catanese, già latitante, ma in “amicizia” da mesi con i suddetti cavalieri. Quello era il momento giusto per Pippo Fava per portare alla ribalta Catania, città in cui ancora si diceva che la mafia non esistesse sebbene fosse stata scossa dall’“Effetto dalla Chiesa”.

“Aveva ragione lui – ricorda Antonio Roccuzzo – non esisteva una testata che parlasse di Palermo e di Catania in modo organico. Non c’era un giornale che raccontava i fatti per quello che erano, che faceva inchieste e approfondimenti sulla realtà siciliana” [Antonio Roccuzzo interv. in L.Mirone, Gli insabbiati]. Tutto l’anno 1982 fu dedicato al lavoro per il giornale: furono mesi di grande dedizione, appagati, alla vigilia di Natale, dall’uscita nelle edicole del mensile che le macchine tipografiche avevano stampato. I Siciliani, anno I numero 1: una grande inchiesta sui “Quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, un servizio sulla difficoltà del mestiere dei giudici in Sicilia, e “L’amore e la donna nel sud”.

Il metodo e la formazione dei giornalisti

Pippo Fava per quei ragazzi che iniziarono con lui l’avventura de I Siciliani fu innanzitutto un maestro di vita e di giornalismo. L’impronta che Fava impresse sulla vita di ogni ragazzo fu fortissima; tutti ancora portano con sé quella straordinaria esperienza, tradotta ormai in una enorme coerenza nella propria professione. Erano insegnamenti continui quelli del direttore ai suoi giornalisti, ma sempre informali: se ne parlava al bar, si discuteva di occhielli e box tra un caffé e l’altro.

Tutti i giornalisti avevano iniziato dalla cronaca nera. A chi si era presentato proponendo una collaborazione per gli esteri, Pippo Fava aveva declinato, e sorridendo aveva detto: “in fondo a destra c’è la cronaca nera, dì che ti mando io!”. La cronaca nera fu una palestra di vita; fu così che da una ingenuità a un’altra si cominciò a parlare di mafia a Catania, di una criminalità ben organizzata, evidente, tracciata seguendo la mappa delle famiglie vincenti, degli scontri fra clan, dei morti ammazzati nei quartieri popolari. I giornalisti redigevano così cronache e inchieste minuziose, sempre corredate dai nomi e cognomi dei mafiosi.

La lezione più importante era stata quella di affezionarsi alle cronache, parlandone con un profondo rispetto, immedesimandosi per capire la disperazione che c’è dietro ogni essere umano e ogni vita. Raccontare le storie, iniziando sempre dai personaggi e dagli uomini, narrando semplicemente attraverso immagini, come in una carrellata cinematografica, che produceva alla fine una cronaca dal gusto letterario. Fava cercava di stimolare nei giovani la curiosità per l’uomo che c’era dietro ogni notizia, cercando di trovare il “punto titolo” più efficace, di appassionare i lettori, attraverso anche una fruizione di articoli che sebbene parlassero di argomenti impegnativi non risultassero pesanti da leggere.

Giuseppe Fava mostrava ai suoi giornalisti il bisogno di una grande autonomia e libertà nella professione. Ognuno doveva essere in grado, un domani, di potersi fare un giornale da solo. Fava insegnava a quei ragazzi la libertà di contare solo sulle proprie conoscenze, senza subordinazioni e senza ossequi. Per questo propose la cooperativa come strumento di autonomia professionale e “impose” ai giornalisti di imparare ad utilizzare i terminali, uno dei lavori manuali più umili, all’epoca illegale perché era vietato dal sindacato. Quel tempo utilizzato ad imparare come funzionavano i computer non era tempo perso, era un mezzo di libertà che i redattori si conquistavano3. E con I Siciliani erano proprio i giornalisti ad essere editori del giornale; ciò che garantiva per Fava la libertà assoluta di informazione e il primo fondamentale passo per la ricerca della verità.
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